Un estratto dalla prefazione di Guido Rossi per il volume di André Schiffrin, "Il denaro e le parole" (Voland, 2010)
«Le cronache quotidiane in tutti i paesi paiono dare ragione ai rilievi e alle descrizioni negative sul destino culturale dell' uomo democratico contemporaneo, così come contenute nel libro di Schiffrin. Per la sua straordinaria e unica esperienza nel settore l' attenzione maggiore è riservata alla stampa, soprattutto ai libri, all' editoria, ma anche ai giornali, alle librerie, al cinema e al fenomeno più recente che abbraccia la quasi totalità delle manifestazioni culturali: la rete con le sue varie applicazioni. La necessità di manifestazioni culturali indipendenti e affidabili costituisce il presupposto del saggio. Ma questo presupposto è ormai tradito dalla ricerca spasmodica del profitto che chiude nel capitalismo finanziario ogni alternativa alla sopravvivenza di attività nelle quali il denaro non sia lo scopo principale. È così che le nuove conglomerate editoriali, invece di pubblicare, preferiscono acquistare e vendere non libri ma case editrici, lucrando sullo scambio azionario. Il calo impressionante delle librerie - che non siano anonimi supermercati, dove non è il libro di qualità ma il best seller, cioè quello commercialmente più di successo, a riempire gli scaffali insieme a una serie di altri aggeggi - è l' indice di un sostanziale cambiamento dei prodotti culturali e di coloro che su tale mercato operano, per i quali il sostantivo (prodotto) vale ben più dell' oggetto (culturale). Identica sorte hanno subìto i cinematografi multisala, dove solo i film commerciali resistono, mentre quelli "impegnati" vengono immediatamente ritirati. Insomma, nel nuovo capitalismo finanziario la cultura, così come d' altra parte la quasi totalità dei valori delle diverse civiltà, è stata postergata al denaro, che condiziona ogni scelta. È qui che Schiffrin propone la ripresa di quei valori attraverso gli aiuti pubblici, nazionali, regionali e comunali, come la Francia insegna, o le organizzazioni non profit che aiutanoi piccoli editori e le piccole librerie indipendenti distrutte dagli sconti selvaggi delle grandi catene. Solo l' intervento pubblico può impedire la deriva che il mito privatissimo del profitto ha procurato ai processi culturali. (...) Né la rete, gli ebook, Google - che pur sempre obbediscono, nella loro totalizzante anarchia quantitativa, solo a logiche commerciali di profitto - possono costituire, come le controversie in atto soprattutto negli USA stanno provando, una qualche alternativa alla conquista del capitalismo finanziario su uno dei gangli essenziali della civiltà. Il saggio di Schiffrin conclude, nonostante tutto, con una dichiarazione di speranza. Il cambiamento provocato dalla rivoluzione finanziaria e dalla tecnologia può non essere definitivo. Altre strade sono possibili e tocca a noi sceglierle e seguirle. Mi sia lecito ora aggiungere una personale riflessione finale. Se persino l' arte contemporanea è stata subordinata al denaro, tanto che lo slogan preferito dai suoi più accreditati rappresentanti, da Andy Wahrol a Damien Hirst, è "l' arte è denaro", il pericolo è ancora più grave forse di quello paventato da André Schiffrin. La postergazione al denaro di tutte le manifestazioni e le opere culturali indipendenti mette a vero rischio l' uomo democratico moderno, il quale ha spontaneamente ridotto la sua considerazione nell' autorità delle istituzioni, che hanno via via perso legittimazione di fronte al progresso tecnologico e scientifico, dove il sapere e la conoscenza sono sempre più specializzati. È inevitabile di conseguenza che l' uomo democratico debba rimettersi in moltissimi campi alla competenza di altri, quella competenza che era tradizionalmente organizzata nei canali della cultura. Le nostre opinioni e la nostra autonomia culturale debbono sempre più dipendere dalla fiducia che accordiamo ad altri, a esperti indipendenti che abbiano la possibilità di trasmettere le loro conoscenze per aiutare la formazione di opinioni critiche e non imposte all' uomo democratico moderno. Già Alexis de Tocqueville aveva chiaramente indicato nella formazione di una "opinione critica" del cittadino l' essenza della democrazia. Per quel che riguarda le istituzioni non corre dubbio che la democrazia esige sempre più trasparenza da parte di chi ci governa, sicché il potere ha perso quel carattere di sacralità che distingueva il monarca, che poteva quindi comandare in un' indiscussa aura di opacità. La trasparenza nei comportamenti di chi detiene il potere in democrazia - e che deve essere pertanto controllato e giudicato dai cittadini - porta, meglio lo si conosce, alla sfiducia piuttosto che alla fiducia. È così che, in mancanza poi di riferimenti culturali non dettati dalla rincorsa al denaro e dai suoi strumenti di propagazione dell' informazione, l' opinione del cittadino, che è poi la vera garanzia del vivere democratico, è facilmente manipolata e distorta. La sparizione delle piccole case editrici indipendenti, con la loro difficoltà nella distribuzione, piuttosto che delle piccole librerie, come sta avvenendo quasi ovunque, con qualche rara eccezione sottolineata da Schiffrin, nonché la mancata indipendenza di tutti i mezzi di trasmissione delle informazioni e delle conoscenze, fanno crollare i pilastri sui quali si basava la fiducia culturale, non omologata solo alla logica mercantile del capitalismo finanziario. La formazione di un' opinione del cittadino senza quei pilastri di riferimento viene facilmente condizionata e degradata. La mia triste conclusione è allora che, senza che ci sia una sufficiente coscienza al riguardo, la sparizione delle piccole case editrici e delle piccole librerie culturalmente impegnate, della stampa e dei mass media indipendenti, costituisce una vera rinuncia alla democrazia basata sull' opinione critica del cittadino, svincolato dall' ideologia del dio denaro, che è la più sottile e bugiarda fra quelle politiche, pronte a nascondersi dietro falsi riferimenti di libertàe idonee a rivendicare la fine delle ideologie»
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