Signora Bompiani, la nuova versione del ddl approvata al Senato il 2 marzo contiene alcune significative modifiche rispetto al testo originario, licenziato dalla Camera nel luglio dello scorso anno. In particolare, si prevede il tetto del 15% agli sconti praticabili sui volumi, un limite del 25% sulle promozioni degli editori e la non reiterabilità delle campagne promozionali (che dovranno diversificarsi nel corso dell'anno solare). Come giudica, nel complesso, la norma? È soddisfatta?
Sono modifiche importanti, anche se lontane da quello che volevamo e che tuttora vogliamo. Abbiamo scelto di sospendere la battaglia su questa prima vittoria, ma speriamo che la legge dia come frutto anche il desiderio di migliorarla ulteriormente. Il vero obiettivo è la legge Lang, che si applica con grande successo in Francia e che prevede un massimo sconto del 5%.
Sostanzialmente, il Senato ha tenuto conto delle proposte avanzate dall'associazione "I mulini a vento", della quale fa parte anche Nottetempo. Quando voi editori indipendenti avete deciso di mettere insieme le vostre forze, pensavate che la vostra iniziativa avrebbe avuto successo?
Beh, lo speravamo. Ma è stata una lotta molto dura, sembrava che alcuni gruppi editoriali avessero preso l’esempio dal governo nel fare leggi a proprio esclusivo vantaggio. È stato difficilissimo ottenere ascolto, e a darcelo non sono state le istituzioni librarie o editoriali, ma la Commissione Cultura del Senato, dove abbiamo trovato persone straordinarie, che ci hanno sostenuto fino all’ultimo, come il Senatore Vincenzo Vita. Ma anche gli altri membri della Commissione sono stati molto più ricettivi di chi avrebbe dovuto esserlo per ufficio.
La nuova versione del testo (che prima di essere legge, ricordiamo, dovrà esser ratificato dalla Camera) ha scatenato anche diverse polemiche. Qualcuno vi ha accusato di essere "neo-luddisti", oppositori del mercato, di tutelare interessi corporativi. Inoltre, la legge, sempre secondo gli oppositori, impedirebbe, di fatto, un abbassamento dei prezzi e costituirebbe una barriera nei confronti del mercato on-line (soggetto allo stesso tetto di sconto). Come risponde a queste critiche?
Abbiamo in realtà avuto due generi di critiche, quelle a cui allude lei, e quelle opposte, che ci accusano di non aver fatto abbastanza.
Ai primi vogliamo dire che la legge voluta dai grandi gruppi, e a cui abbiamo portato qualche modifica, era sì una legge corporativa, perché difendeva loro da Amazon e dalla Grande Distribuzione (supermercati, ecc.) e lasciava a terra editori e librai indipendenti, che in questo periodo hanno spesso chiuso bottega. In realtà, gli sconti sono una truffa. Per poterli praticare bisogna prima alzare i prezzi, cosa che Mondadori ha puntualmente fatto a gennaio. E sono comunque possibili solo alle grosse tirature. Il che vuol dire che poi in libreria si trovano scontati solo i best-seller, mentre gli altri libri scompaiono dal mercato.
La cultura così coincide col "commerciale", mentre l’inverso non è mai stato vero. Un libro "commerciale" può essere bellissimo, ma difficilmente sarà nuovo, insolito, diverso, perché il successo arride in genere a quel che si "riconosce", cioè a quello che si conosce già. Una politica che vieta gli sconti permette di abbassare tutti i prezzi e consente la bibliodiversità, cioè la ricchezza dell’offerta.
A quelli che ci fanno la critica opposta possiamo solo dire: “lotta dura per la cultura...”
La sensazione è che il mercato editoriale italiano necessiti di una riforma profonda. Quali dovrebbero essere, a suo giudizio, i principi guida di un'eventuale provvedimento legislativo su questa materia? E soprattutto, pensa che l'editoria possa ormai prescindere da un confronto serio col mondo delle tecnologie (e-book in primis)?
Una riforma profonda dovrebbe prendere in considerazione la specialità italiana che consiste, per alcuni gruppi, nel possedere tutta la filiera: case editrici, reti di distribuzione, catene librarie... È un privilegio che gli altri Paesi non consentono o non contemplano e che dà a pochi editori vantaggi spropositati. Dovrebbe tener conto del grande numero di editori e librai indipendenti e fare in modo che non diventino i nuovi panda. Ci sono ottimi esempi intorno a noi di leggi ben fatte: Francia, Spagna, Germania, ecc. E un disastroso esempio da non seguire: l’Inghilterra.
Quanto alle tecnologie, il confronto è già cominciato, e ognuno coi suoi tempi ne verrà modificato.
La "Nuova disciplina sul prezzo dei libri" (o legge Levi, dal nome del primo deputato firmatario) s'inserisce tra quei provvedimenti a sostegno della bibliodiversità, del pluralismo delle voci editoriali. Ovvio, tuttavia, che un simile provvedimento non è sufficiente a garantire la sopravvivenza di molte medie e soprattutto piccole case editrici (e librerie) indipendenti di fronte ai grandi colossi del settore. Quali sono, secondo lei, ulteriori provvedimenti che potrebbero essere di supporto e di tutela ad un patrimonio culturale così importante come quello rappresentato dall'editoria e dalle librerie indipendenti?
Non mi pare che la legge Levi avesse per obiettivo principale la bibliodiversità e il pluralismo. Tanto è vero che ha cercato in tutti i modi di non ascoltare la voce di piccole e medie imprese, che le rappresentano. Ci è voluta molta tenacia da parte di tutti noi per ottenere qualcosa.
I provvedimenti necessari sono tanti e abbastanza chiari, basta accettare di prenderli. Fra l’altro, ancor prima di aiutare l’editoria, si potrebbe smettere di nuocerle, restituendole tariffe postali più favorevoli, o abbassando il prezzo dell’Iva. Sarebbe già qualcosa.
In conclusione, come spiegherebbe ad un lettore/consumatore i vantaggi che questa legge potrebbe apportare per lui?
Avrà più librerie, più libri, più scelta: e magari converrà che il libro non è una merce d’occasione imposta dal produttore più grosso, ma un nutrimento delicato e necessario da scegliere con accuratezza.
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